Sono anzitutto cristiano con voi,
e sacerdote per voi, per parlare di Lui a voi e di voi a Lui Emilio Gandolfo

la Compagnia di San Paolo

donemilio-ritratto-6 Per quattro anni Emilio è stato prete nella sua diocesi: dopo Lerici, dall’estate 1944 all’inizio del 1946 vicario nella parrocchia di San Bernardo abate a La Spezia; da marzo a ottobre 1946 a Casarza Ligure, per dare una mano al vecchio parroco gravemente ammalato. Per quattro anni ha esercitato il ministero della Parola e dei Sacramenti, ha tenuto ritiri ed esercizi spirituali, ha partecipato a diverse missioni e a molti pellegrinaggi. Ma non è la diocesi il suo spazio. È alla ricerca di altri orizzonti. Così, a ottobre 1946 lo troviamo a Roma, dove entra in contatto con la Compagnia di San Paolo – Opera Cardinal Ferrari. Il 22 luglio 1947 ne diviene membro. È dal 1939 che ci pensava: «Quando conobbi la Compagnia – ricorderà anni dopo – avevo vent’anni e fu vero innamoramento».

Perché sceglie i Paolini? Perché rappresentavano allora la giovinezza della Chiesa, un cristianesimo, dirà La Pira, che aveva spezzato gli schemi dell’imborghesimento, fatto di fede audace, di amore appassionato. Sorta a Milano nel 1921, sotto la protezione dell’arcivescovo Beato Andrea Carlo Ferrari, per iniziativa di don Giovanni Rossi (che nel 1939 darà vita alla Cittadella di Assisi), la Compagnia era stata salutata con grande entusiasmo. Scrive La Pira nel 1945: «Si trattò, per tanti di noi, di una esperienza trascinatrice, una primavera insospettata di cristianesimo». Una comunità apostolica, di laici e preti, uomini e donne, senza che l’ordine sacro desse diritto a particolari riconoscimenti, senza gerarchie precostituite, tutti insieme impegnati in un apostolato di frontiera. Questo era l’ideale che aveva conquistato Emilio.

Emilio celebra la Messa all’aperto, nella campagna di Montelepre, in Sicilia. È stato inviato lì, in terra di missione, dalla Compagnia di San Paolo. Siamo alla fine degli anni Quaranta. Emilio è missionario tra i braccianti e i minatori, tra chi fatica a trovare un lavoro e a sfamarsi.

montelepre
Messa all’aperto a Montelepre

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Un giorno si spinge fino alle zolfatare di Lercara Friddi, luogo di fatica e di sfruttamento, dove si trovano a lavorare anche ragazzi e adolescenti, i “carusi”. Nel 1997 racconterà quell’esperienza: «Esattamente cinquant’anni fa mi trovavo a Lercara Freddi all’ingresso di una zolfatara, ad aspettare i minatori che stavano risalendo dal ventre della terra. Avrei dovuto rivolgere loro una buona parola; ma quando me li vidi davanti affranti e sfigurati da una fatica disumana, ogni parola mi morì in bocca. Il nostro dialogo si svolse quasi totalmente nel silenzio». Per Emilio quei minatori, vittime di tempi impietosi, praticavano la parola di Dio con la loro fatica.

Ma quella missione non lo soddisfa appieno: non ne vede i frutti, si sente inutile e lo dichiara al suo superiore, in una lettera dell’autunno 1950. Sarà un rapporto sofferto quello di Emilio con la Compagnia di San Paolo. Non gli mancheranno, purtroppo, le delusioni. Lo dichiarerà nella lettera del 1957 al Superiore don Pasquale Ulderico Magni con la quale annuncia di volersi dimettere: «Era stato il fascino del “bello” ad attrarmi, poi via via si fece sentire sempre più viva l’esigenza del “vero”, del chiaro, del concreto: e ci fu un disincantamento graduale. Al presente non c’é più nulla che mi prenda e che mi tenga legato… Forse ho sognato troppo e sono stato come certi innamorati che rimangono delusi per colpa della loro fantasia… E allora preferisco chiudere e chiudere con una preghiera che porto all’Altare».

donemilio-ritratto-7 Non chiuderà, i superiori lo convinceranno a restare, ma i suoi dubbi cresceranno. Nel 1997, in un’ora molto difficile per la Compagnia, finita al centro di scandali e inchieste giudiziarie, scriverà: «Oggi si va ripetendo ancora che il nostro carisma è l’apostolato di avanguardia, di frontiera. Ma parliamoci chiaro, dov’è ora il senso del rischio, se si sente tanto il bisogno di sicurezze umane? Dov’è andata finire la nostra audacia, il nostro spirito d’avanguardia, la capacità di aprire nuove vie alla chiesa, il punto di onore autenticamente paolino di non costruire su un fondamento altrui?
Il paolino deve essere alquanto spericolato e folle, ma di quella follia di cui parla
S. Paolo, la follia della croce
».