don Emilio Gandolfo
Sestri Levante, 3 novembre 1919 – Vernazza, 2 dicembre 1999
Non ha mai perso il gusto del sorriso, Emilio. Era ligure. Gente dura i liguri, diceva citando Virgilio, ma lui era severo, non duro, e la sua porta era sempre aperta. “La nostra carità non serra porte”, ripeteva con Dante. Era bambino quando ha deciso di farsi prete e ha fatto il prete con amore, gioia e sapienza. “Vedi col cuore e ti sei messo dalla parte dell’amore”, gli ha scritto don Primo Mazzolari per la sua prima messa.
Amava la parola di Dio, l’ha letta e riletta, e non ha fatto altro che cercare di trasmetterla, di farla amare.“Bisogna essere uomini di Dio e uomini degli uomini”: così intendeva la missione del prete. Diceva che per sentire il profumo dell’Eterno bisogna vivere immersi nel proprio tempo, attenti alle voci degli uomini, perciò gli piaceva la chiesa del Concilio, perché si era messa in ascolto non solo della parola di Dio ma anche di quella degli uomini. Ha sperato nel Concilio e ha amato Giovanni XXIII: ha cercato, diceva, di far vincere alla Chiesa la paura. “Ma si può dire che la paura è stata vinta?”, si è chiesto quando ha visto allontanarsi le speranze conciliari.
Era un uomo libero e curioso delle vicende umane, di quelle personali e di quelle collettive. È stato un viaggiatore instancabile e appassionato. Ha scritto molto, sulla Lettera di Dio agli uomini e sui Padri della Chiesa. È stato parroco tre volte. E, per molti anni, professore di religione al liceo. In classe cercava il dialogo e i suoi alunni gli sono diventati amici.
Di amici ne aveva molti, e a tutti loro, ogni anno, a Pasqua e Natale, mandava un libretto con una lettera. L’amicizia per lui contava molto. Diceva:
“Il più grande è chi ama di più”. Una sera l’hanno ucciso e non si sa perché.