Sono anzitutto cristiano con voi,
e sacerdote per voi, per parlare di Lui a voi e di voi a Lui Emilio Gandolfo

il diario negli anni di Levanto

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Levanto 22 gennaio 1974

Dopo tanto tempo, quasi un anno, sento il bisogno di scrivere. “Questo è un fardello che non si depone mai”, così un anno fa mi ha detto un confratello parroco. Questo fardello me lo sento sempre più pesare sulle spalle. Il Signore parla di peso e di giogo, ma dice che il suo peso è leggero ed il suo giogo soave. Non vuole che io soccomba sotto il peso, perché a portarlo sono io solo: “Torcular calcavi solus”. Solo di fronte a tutti. Non è vero che tutti vogliono la mia vita. Sarebbe già un vantaggio. Mi sento solo ed inutilizzato, solo ed isolato. Io non servo per loro. Eppure sono qui per loro, al loro servizio. Ma non sono qui con loro. Non mi accettano. Ma io li ho accettati? Con rude franchezza ieri la maestra modenese mi ha detto che io mi sono isolato, che non li ho accettati, che vivo completamente distaccato dalla realtà levantese; che parlo bene ma il mio discorso è intellettuale, che inquieta le coscienze, ma non è recepito perché io non sono accettato e non ho fatto nulla per essere accettato; che parlo a loro ma non parlo con loro, perciò quando mi ascoltano non si sentono amati. L’accusa è grave e mette tutto in discussione. In tale situazione, mi ha anche detto, che la fuga è una mia reazione infantile. Se in questa franchezza avessi colto una vena di risentimento od il gusto di far male ad uno che sta male, avrei qualche motivo di difesa, ed invece eccomi qui inerme ed indifeso, aggredito da una forza che non è contro di me. Signore mio, tu che scruti i cuori, conosci fino in fondo dove sono io, e soltanto tu puoi stendere la tua mano per trarmi in salvo; non ti chiedo di liberarmi dal mondo ma di salvarmi dal male: dal male che soffro e che senza volere io faccio a ma stesso ed agli altri chiudendomi per difendermi in me stesso. Signore, ascolta la mia voce, il gemito del mio cuore e vieni presto a salvarmi. Nonostante tutte le accuse che non voglio respingere, non vedo ora altra via d’uscita che andarmene. Ma non voglio fuggire, devi essere tu a chiamarmi ed a prendermi per mano; così come sono convinto che qui non ci sono venuto di mia testa, ma tu mi ci hai chiamato. Mi hai detto: “Va”; ed io sono venuto; e se ora tu mi dici: “Parti”; io parto; ma non voglio fuggire; non voglio cercare la mia pace ma seguirti per servire i fratelli. Signore, solo il pensiero di dover rimanere qui anche soltanto qualche mese, mi angoscia; tuttavia non quello che voglio io ma quello che vuoi tu, soltanto dammi la tua pace ed aiutami ad ascoltare ed amare i miei fratelli.

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Caravaggio, Conversione di San Paolo (part.), Roma, Santa Maria del Popolo

25 gennaio Conversione di San Paolo

È un po’ di tempo che non dedico a S. Paolo due parole. Egli rappresenta il mio primo amore; perché è lui che per primo mi ha comunicato l’esperienza di un uomo che è in Cristo, al punto che non è più lui che vive ma è Cristo che vive in lui. Ed oggi sento il bisogno di parlare con lui. La giornata stessa così chiusa mi spinge a cercare orizzonti più ampi e più spirabil aere. La giornata, il luogo, l’ambiente, il clima spirituale di Levanto. Le antifone delle Lodi che ho recitato salendo verso il castello sono come l’enunciazione di temi di grandi sinfonie. Scio cui credidi. È il punto di partenza, di base solida, la radice profonda. Una fede ormai ben solida come un patto d’amore a lungo collaudato. Senza questo punto fermo tutto sarebbe instabile e insicuro, ed ora mi troverei a mani vuote. Sufficit tibi gratia mea, nam virtus in infirmitate perficitur. Qui c’è tutta la storia di S. Paolo, la sua radiografia profonda, la spiegazione della sua riuscita malgrado tutti gli scacchi che costellano la sua esistenza movimentatissima. Anzi, che dico, malgrado? Proprio in questo terreno accidentato e sconvolto, egli ha messo radici profonde: “Quando sono debole è allora che sono possente”. La debolezza, lo scacco umano, sono il prezzo che egli deve pagare perché Cristo, che è la sua vita, si manifesti in lui con tutto il suo splendore. “Portiamo il tesoro divino in vasi d’argilla”. Ecco la coscienza che devo avere del mistero da cui sono abitato, di quella presenza celata che un giorno si manifesterà. E questo è il regno di Dio che non solo annuncio ma che vuole stabilirsi in me; e non in me soltanto ma attraverso me, eletto a portare il suo nome. La sua grazia in me non è stata vana, e non è stata vana la mia fatica nel Signore. Ma a quale prezzo! “Signore, che cosa vuoi che io faccia?”. “Io poi gli mostrerò quello che dovrà patire”. Io chiedo che cosa devo fare e lui a poco a poco mi mostra quello che devo patire; cioè mi porta dove io non chiedo e dove non vorrei andare. Et facere et pati. Nel fare c’è la mia iniziativa; nel patire c’è la sua iniziativa; ed io accolgo il senso della vita e sono chiamato a partecipare al travaglio doloroso perché venga alla luce.

Levanto 8 maggio 1974

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Maledetto Referendum diventato scontro incivile e motivo di divisione tra cittadini e quel che è peggio, tra i cristiani. Sempre più sono convinto che chi meno ci guadagna in questa lotta sleale è proprio la famiglia. Non avrei mai creduto possibile tanta intolleranza che è segno di scarso senso democratico e di scarso senso di fede. Pellegrino ha difeso apertamente la libertà di coscienza che è condizione indispensabile per la libertà religiosa e per quella “pace religiosa” che il Papa domenica ha auspicato per l’Italia. Uomini come Pietro Scoppola e Nando Fabro e Fratel Carlo Carretto li stimo come uomini liberi e come cristiani veramente seri e non posso pensare che il Signore li abbia privati del suo Spirito come non penso che i vescovi abbiano il monopolio dello Spirito Santo; sono al servizio dei fratelli per la verità, per quella verità che li fa liberi. Ma come è possibile la verità senza la libertà? “Offrendosi liberamente alla sua passione” “Nessuno mi toglie la vita, la offro da me stesso; posso offrire la mia vita e riprenderla”. Senza questa libertà non ci sarebbe il sacrificio che ci libera perché è sacrificio di amore e non sarebbe sacrificio d’amore se non fosse offerto liberamente. Si ama per la coscienza prima che per la legge: è soltanto l’amore che unisce e non la legge che stringe un vincolo. E la Chiesa deve essere un segno di libertà, una scuola di libertà; e la prima virtù non è l’obbedienza a meno che non sia obbedienza a Dio che è padre; è per questa obbedienza a Dio come padre che si è figli e se si è figli si è liberi; la libertà dei figli di Dio, l’unica in cui credo fino in fondo e per la quale mi batto se occorre anche contro il vescovo, è come Newman brinda sì al papa ma prima alla coscienza. E non sono assolutamente d’accordo col mio vescovo che vuole imporre l’obbedienza con un sì che non può e non deve decidere e tanto meno sono d’accordo con lui che rifiuta di dare la cresima perché il parroco ha firmato il documento dei cattolici democratici; doveva rimuoverlo, semmai, ma non colpire il povero gregge che non capirà mai il perché. E dire che io ho letto per obbedienza il documento della CEI sul referendum pur non essendo d’accordo su alcuni punti e sull’opportunità, ma convinto che esso lascia spazio alla libertà di coscienza intesa come assunzione di responsabilità; e con tutto ciò ho provocato le dimissioni del presidente del consiglio presbiteriale. Non ho accettato queste dimissioni perché non mi sembravano consone, meditate e motivate, ma non posso ora tacere di fronte a questo abuso di autorità, a questo stile curiale che agisce non allo scoperto ma subdolamente senza esporsi e poi ispirandosi al codice più che al vangelo. Fratel Carlo con la sua preghiera apparsa ieri su La Stampa mi conforta; è una preghiera che faccio mia con lo stesso appassionato amore per la chiesa con sofferenza e speranza.

Levanto 11 maggio 1974

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Dom Franzoni nei primi anni sessanta

Sì, sono d’accordo con la signora comunista che l’altro giorno mi ha detto a proposito dell’abate Franzoni: “I contestatori devono fare di tutto per rimanere nella Chiesa, perché fuori di essa non servono a nessuno”. I contestatori sono scomodi e non graditi, ma devono far di tutto per essere accettati. E proprio ora leggo la parola che scrisse il barnabita Gazzola quando rimosso dal Cardinal Ferrari dalla parrocchia di S.Alessandro a Milano perché accusato di aver negato l’inferno, mentre si era limitato a dire che la condanna di una persona all’inferno non può accertarsi, amava definirsi exal Christi: “Bisogna ad ogni costo restare nella Chiesa. La riforma non può venire che dal di dentro; ciò non vuol dire che verrà dall’alto. S. Francesco non fu neppure prete… quando lo sconforto mi assale nel mio esilio presente, penso alle parole: nisi granum frumenti cadens in terra mortuum fuerit… Ora è l’inverno spirituale, il grano germoglierà”. Veramente, secondo il calendario è primavera avanzata ma continua a piovere ed a far freddo e sembra che l’inverno sia ritornato. Così dopo il Concilio è innegabile la restaurazione dettata nei vescovi principalmente da due cause: la prudenza e la paura; la prudenza perché temono sempre che venga turbata la coscienza dei deboli; ma la paura non serve a nessuno.

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Levanto 14 maggio 1974

Ha vinto il NO sul SI, a Levanto come in Italia. Non è né una sconfitta né una vittoria. Ho sempre nutrito fin dal primo momento una profonda avversione per questo referendum popolare che dal popolo non è mai stato voluto ed ho sempre pensato che chi meno ci avrebbe guadagnato era proprio la famiglia fondata non sulla legge ma sull’amore. Educare all’amore, ecco il grande compito che aspetta, non da oggi, i pastori d’anime sgombrando il terreno da tutti gli impedimenti socio politici, e questo spetta a tutti ma in particolare ai responsabili della cosa pubblica. Non ho condiviso e non condivido l’atteggiamento di alcuni vescovi e di alcuni preti che non hanno rispettato la distinzione dei piani e sono stati guidati dalla paura nei confronti dei fedeli che devono essere sempre protetti. Ma quando ci impegneremo sul serio a formare o almeno a rispettare gli uomini liberi, a formare dei cristiani adulti che si sentano veramente responsabili del Vangelo e del tempo che vivono capaci quindi di leggere i segni dei tempi alla luce del Vangelo?

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Santo Stefano 28 maggio

Stamane ho incontrato la Lea, una donna di 80 anni, l’età della mamma se fosse ancora in terra, che usciva dalla chiesa mentre io stavo entrando. Mi ha detto: “Sono venuta ad accendere una candela alla Madonna perché mi faccia da mamma”. Poi si è parlato di Levanto; si è resa conto della mia situazione e se ne è andata dicendo: “Dio vede e Dio provvede”. Come vorrei avere lo stesso spirito di fede, lo stesso abbandono filiale!

Poi, una terribile notizia da Brescia: una strage provocata dai fascisti, che getta profondo turbamento nel paese in un momento particolarmente delicato. È la follia criminale che impedisce la voce della ragione. Come se potessimo permetterci di fare un passo avanti senza ragionare. La tentazione della violenza e della sopraffazione. “Il mondo non ti ha conosciuto”. Questa ignoranza della verità impedisce la libertà, poiché è da credere che soltanto “la verità ci fa liberi”; e “siamo liberi se il Figlio ci fa liberi”. Occorre rifarci alla prima esperienza del popolo di Dio da cui maturò la convinzione che si è liberi soltanto se si è figli di Dio, più che per qualsiasi conquista democratica. Ritorna la diversa concezione della libertà: diversa nel popolo di Dio da quella esistente nella democrazia greca.

“… è il Signore stesso che si incarica di spogliarci per educarci alla speranza”.

Levanto 24 marzo 1976

“Dammi un segno di benevolenza; vedano e siano confusi i miei nemici, perché tu, Signore, mi hai soccorso e consolato”(Sal. 85). Così prego stamane in prima persona rimettendo nelle mani del Signore la mia causa: da parte degli uomini silenzio e porte chiuse. È l’ora della speranza che non delude, quella speranza fondata sulla parola del Signore e nell’attesa della sua venuta. “La sua venuta è sicura come l’aurora; verrà a noi come la pioggia di primavera, che feconda la terra” (Osea). Io spero nel Signore, l’anima mia spera nella sua parola. È tempo di Quaresima; la penitenza non è quella che si sceglie, né la povertà è quella del voto; ma è il Signore stesso che si incarica di spogliarci per educarci alla speranza. La speranza passa attraverso questa povertà radicale. Egli spogliò se stesso, annientò se stesso, umiliò se stesso obbedendo al Padre fino alla morte e alla morte di croce. Per questo Dio lo ha esaltato. Egli, il Signore, verrà a prendermi per mano e mi porterà dove vorrà. Oggi si ricorda il massacro delle Fosse Ardeatine, un sacrificio per la libertà e la dignità dell’uomo. Ma che senso ha il “massacro” della DC al palazzo dello sport in Roma? la volontà di rinnovamento che è condizione di servizio e di sopravvivenza sembra compromessa dalla lotta per il potere e dello spirito di parte. Non ho molta speranza in questa forza e perciò nell’avvenire democratico futuro.

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Levanto, domenica 9 maggio IV di Pasqua

Fin d’ora siamo figli di Dio ma ancora non si vede quello che siamo, scrive Emilio nel 1976. Il terremoto che ha sconvolto in questi giorni il Friuli distruggendo le case e seppellendo gli abitanti assolutamente inermi di fronte a queste terribili forze della natura e colpendo, come sempre, i più poveri, suscita sgomento, costernazione e insinua dubbi. Se Dio è padre, dove sono rivolti i suoi occhi, perché non protegge i suoi figli più deboli. Siamo in balia di forze oscure o del fato? In quest’ora buia l’amore del Padre si manifesta nell’amore dei fratelli che prontamente e generosamente vengono in soccorso dei fratelli. Tacciono gli odi e le polemiche e trionfa l’amore che non guarda in faccia a nessuno ma vede solo un bisogno di soccorrere. In questo si manifesta l’amore del Padre, capace di trasformare la sciagura in una grande occasione d’amore. L’indifferenza per gli altri che produce estraneità e ostilità è vinta dalla commozione; nessuno riesce a chiudere il proprio cuore a chi il flagello del terremoto ha lasciato nudo sulla strada, ciascuno è chiamato a condividere almeno in qualche misura il suo pane con chi ha fame, a non ostinarsi a dire “è mio” ciò che nelle necessità è di tutti. Una lezione dura ma salutare per i giorni in cui ognuno cammina per la propria strada tanto in fretta da non accorgersi degli altri, di ciò che reca nel cuore e qualche volta anche sul volto, chi gli passa accanto.

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Poco dopo aver reso onore alla santa memoria di Papa Giovanni, a Santo Stefano improvvisamente muore mio padre. “Io piego le ginocchia davanti al Padre, dal quale ogni paternità nei cieli e sulla terra prende nome”. Invoco lo Spirito della vita mentre mio padre rende lo Spirito; invoco la potenza dello Spirito mentre tocco con mano l’estrema debolezza della carne e avverto come uno strappo alle radici dell’esistenza terrestre. Mia madre è morta a Pasqua, mio padre a Pentecoste, e così anche per questo mi sento totalmente calato nel mistero della vita. Colui che ha risuscitato Gesù da morte risusciterà anche i nostri corpi mortali mediante la potenza del medesimo Spirito che abita in noi. Tutto è avvenuto rapidamente come in un sogno e ancora non riesco a rendermi conto che l’evento tanto temuto si è compiuto, ma un sentimento è dominante in me in questo momento, un sentimento di riconoscenza a Dio Padre per avermi manifestato la sua paternità attraverso un padre così umile e grande. Se talora mi sono vergognato e sentito umiliato per la povertà di mio padre, ora più che mai sono fiero del più autentico segno di nobiltà e di speranza. È la forza che si esplica e si compie nella debolezza; è la povertà che veramente mi fa sentire ricco. Egli è stato provato con la lunga afflizione della cecità, che peraltro non ha menomato la lucidità mentale e il fulgore crescente della fede come una nuova vista aperta sulle cose di Dio, che lo ha portato a riempire le sue lunghe ore solitarie con tanta e intensa preghiera. Gli è stata risparmiata la paura della morte e le grandi sofferenze che normalmente la precedono; davvero, come dice il salmo che ho recitato per lui: ”In pace mi corico e subito mi addormento”. Così si augurava che fosse il suo passaggio e così anch’io mi auguro che sia il mio; ma che mi colga preparato come lui, interamente abbandonato fra le braccia del Padre. Considero anche provvidenziale, ora, il rinvio della mia partenza da Levanto, dovuta certo all’incredibile lentezza burocratica, ma non senza una divina disposizione che mi ha conservato vicino a lui fino all’ultimo momento com’egli vivamente desiderava. E veramente a lui che sempre ha dato tutto senza nulla chiedere, non potevo negare questa piccola consolazione. E qui ancora come lezione fondamentale: non cercare cose troppo alte e lontane, ma gustare le gioie semplici di questa vita che passa, convinti di essere già trapiantati in quella che non passa ma rimane in eterno.